"Corrupted Flower", una bozza[Prima scena/Bozza di una fanfiction ipotizzata tempo fa]

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Administrator
    Posts
    434

    Status
    Offline

    "Corrupted Flower", una bozza



    La prima scena / bozza di una fanfiction su Corrupted Flower (背徳の花, Haitoku no Hana), di Rin e Len Kagamine, che avevo ipotizzato di fare secoli orsono. Scrissi solo questa prima scena, tanto per, ma non ebbi abbastanza ispirazione per il seguito. (!)

    La metto qui perché... oh, insomma, perché no? U.U

    Scritta il: 1 Ottobre 2015
    Rating: Giallo
    Genere: Generale
    Tipo di coppia: Het
    Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine (comparsa/ovviamente solo per questo pezzo)

    .

    Due settimane.

    Non era esattamente di quelle persone che si sarebbero fatte convincere a bere qualcosa di visibile anche al buio.
    Eppure, quel liquido verde era nel bicchiere davanti a lui. Guardandolo bene, riusciva persino a distinguere le sfumature di verde. Ed era buio, sì.

    No, non era buio. “Buio” avrebbe implicato la totale assenza di luce - e lui, in tal caso, si sarebbe rifiutato per principio di bere qualcosa evidentemente capace di emettere luce propria. C'erano luci soffuse lungo tutto il perimetro della stanza, una penombra perenne, i colori di tutte le cose che si mescolavano al rosso cupo, all'arancione scuro.
    Una stanza costellata di tavolini rotondi, incapaci di ospitare più di quattro persone, e sedie dall'aspetto sottile che, contro ogni aspettativa, riuscivano a sostenere anche pesi notevoli.
    E il bancone, a destra, illuminato da luci gialle giusto per impedire alla bellissima barista di avere una scusa credibile riguardo un’accidentale, infelice, mescolanza di alcolici.
    E il bicchiere di liquido verde con schegge sfumate visibili anche al buio. Tuttavia, sapeva di limone e lui era ancora vivo. Poteva concedergli la sua fiducia.
    Lo portò di nuovo alle labbra, ne approfittò per guardarsi intorno.
    Se n'erano già persi due.
    Soffocò la risata nel coso al limone. Chissà se quelle belle ragazze sarebbero state belle anche alla luce del sole.
    Le due coppie vennero inghiottite dal non-poi-così-buio. Dunque era lì che si trovava la scala per il piano di sopra.
    “Se ne vanno prima che inizi…” alzò le spalle. Affari loro.
    Nulla contro le ragazze magiche che cambiavano aspetto dalla notte al giorno.
    E i suoi colleghi erano liberissimi di andare con loro, se lo desideravano.
    Soltanto, avrebbero almeno potuto aspettare di vedere le attrazioni principali.
    Era come pagare un lussuosissimo pranzo e ritrovarsi pieno all'arrivo delle portate causa strafogamento di stuzzichini.

    Due tavoli più avanti, il palco s'illuminò.
    Dopo una sola ora d'attesa. Di certo, si facevano desiderare.
    Dovette sbattere le palpebre, la luce improvvisa gli diede fastidio.
    Un microfono al centro di due coni di luce bianca.
    Il sipario si aprì, rivelando una delle figure per cui la maggior parte dei presenti era lì.
    Era bella, senza dubbio.
    Con la luce in pieno viso, non era di certo qualcuno in grado di cambiare aspetto a seconda del momento della giornata. A giudicare dalla complicatezza dell'acconciatura, doveva avere i capelli davvero lunghi. E il vestito rosso era fatto appositamente per far notare la sua somiglianza con una clessidra. Una gamba incorniciata dalle pieghe rosse. I seni grandi coperti solo per metà. I guanti rossi lunghi fino ai gomiti.
    Cantava, e aveva davvero una bella voce.
    Chissà quanti la stavano ascoltando.
    Forse si sarebbe dovuto dispiacere di un simile talento subordinato al suo respiro.
    Tuttavia, lei stessa sembrava dire che era più facile seguire l'alzarsi e l'abbassarsi del suo petto che non le note della sua canzone.
    Una canzone d'amore, ovviamente. Un amore puro e totalizzante. Forse il testo era stato scelto apposta.
    La donna portò una mano all'acconciatura e, con un gesto, quella si disfò. Aveva visto bene: aveva i capelli lunghi fino ai fianchi, mossi. O forse erano mossi solo in quel momento.
    Si muoveva piano, come se stesse oscillando. Era un movimento quasi ipnotico.
    Ma era troppo lento.
    Se avesse cantato muovendosi di più, sarebbe senz'altro stata più affascinante.
    Un pezzo strumentale. Il guanto scivolò dal braccio della donna, e volò oltre il palco. Qualcuno fu abbastanza rapido da afferrarlo prima che toccasse terra - o un tavolo.
    La parte finale. Aveva preso il microfono e l'aveva portato con sè, mentre camminava, piano, piano, piano, sul bordo del palco.
    S'inginocchiò piano, sull'ultima parola. Il ginocchio scoperto a terra, l'altro portò su con sè la stoffa rossa, uno scorcio più chiaro.
    Chi le era davanti aveva senza dubbio apprezzato - fischi e urla sembravano confermare anche per chi le era ai lati.
    Sì, aveva una bella voce, non lo poteva negare.
    Sorseggiò il suo liquore verde, che forse non era neanche un liquore, ma doveva pur trovargli una qualche definizione.
    Ed era bella lei stessa, aveva un fisico morbido.
    Posò il bicchiere sul tavolo.
    Peccato che il massimo del mettersi in mostra fosse stato quello.
    Certo, sapeva benissimo che nessuna delle ragazze si spogliava completamente - sul palco.
    Ma sperava in un pochino di più.
    La canzone era stata comunque interessante e lei una bella visione. Almeno, non aveva dovuto pagare un patrimonio per entrare.
    Mise mano al portafoglio e gettò qualche goldmark sul palco. Le monete si mescolarono alla pioggia scintillante ai piedi della ragazza.
    Il sipario si richiuse, le luci si abbassarono di nuovo.
    “Il tempo per raccogliere tutte le gentili offerte…” rimise via il portafoglio. Il liquore era quasi finito. Forse avrebbe potuto prenderne un altro.
    Rimaneva il fatto che non aveva idea di come si chiamasse quell'affare.
    Le luci lo stupirono: “Di già?”.
    C'era una sedia nera, al centro del palco.
    E, da dietro il sipario, una ragazza dai capelli corti e ricci - forse una parrucca? - fece il suo ingresso, a braccia aperte, con un gran sorriso.
    Ogni passo, una nota.
    Una ballerina. Una ballerina in un vestito talmente pieno di strati da rendere ovvie le conseguenze.
    Eppure, non riusciva a vedere il momento in cui si sganciava un pezzo. Sembravano vestiti a tempo: dopo un certo tot di secondi, quelli cadevano da soli, senza neppure bisogno di essere toccati - sembrava.
    Chissà se era una capacità delle ballerine in generale o di quella ragazza nello specifico.
    Di minuto in minuto, il volume dei vestiti diminuiva, finché la ragazza non si ritrovò con indosso solo un corsetto nero e delle mutande nere.
    Un secondo prima c'erano anche le calze. Almeno quelle se le era dovute togliere a mano, senza far ricorso alla sua abilità.
    Il fondoschiena era molto più interessante del seno. Aveva sostanza.
    “… già finito?” sbattè le palpebre.
    In teoria, erano passati dai tre ai cinque minuti. Ma a lui sembravano al massimo trenta secondi.
    Quella ragazza aveva trotterellato per tutto il palco, i vestiti che cadevano ad uno ad uno, le braccia e le gambe sempre più scoperte che fendevano l'aria con gesti decisi.
    … ma era stato così veloce che non aveva quasi fatto in tempo a godere dello spettacolo.
    Molti suoi colleghi sembravano pensarla diversamente - molto diversamente. Se possibile, ci furono ancora più urla esaltate che per la cantante.
    Finì di bere il liquore e rimise mano al portafoglio. Due monete, giusto perché aveva denaro da sperperare.
    Con un sospiro, rimise il portafoglio in tasca e si alzò, mentre il palco tornava in penombra. Si diresse al bancone, il bicchiere ormai vuoto in mano.
    La barista fu quasi subito da lui - il tempo di sorridere ad un gentile buttafuori intervenuto a togliere di torno un cliente molesto: - Desiderate? -
    Le sorrise, mostrò il bicchiere: - Verde. Al limone. Con un aspetto poco rassicurante. -
    A giudicare dalla faccia, l'ultima affermazione doveva averla confusa. In ogni caso, lei sorrise di rimando e con un: - Arriva subito! - si mise al lavoro.
    Fu in quel momento che lui notò i vasi.
    Erano sul bancone, alcuni persino su tavolini a caso.
    Vasi forse rosso scuro, forse marroni, con all'interno rose rosse e arancioni.
    “… vasi di rose qui? Seriamente?”.
    - Ecco a voi! -
    Tornò con lo sguardo al bancone, appena in tempo per vedere l'ormai noto liquore strano. Sì, era lui.
    - Fanno venti marchi! -
    Ammirevole come i suoi colleghi avessero speso venti marchi solo per presentargli un bicchiere di liquore sconosciuto.
    Ringraziò, pagò e tornò al suo posto - e rimase sinceramente stupito nel notare come nessuno ci si fosse seduto. Ormai quelli sobri erano pochi.
    Forse ci si erano seduti e poi si erano alzati.
    Giusto per sicurezza, tastò il sedile e la tavola. Niente di diverso da prima.
    Le luci si erano di nuovo accese, sul palco.
    Si sedette, e bevve un sorso.
    Non c'erano microfoni, né sedie, né niente.
    Solo il sipario che si apriva, e una ragazza che camminava sul palco.
    Un fiore rosa.
    La gonna era fatta di petali rosa. Uno strascico di petali rosa, le gambe scoperte.
    Guardò meglio.
    Calze trasparenti. Autoreggenti.
    Un grande fiore sul dorso della mano sinistra. Perle. Fili di perle bianche ovunque. Sul vestito, tra i capelli biondi, capelli mossi, fino alle spalle scoperte.
    Il corpetto che seguiva la figura esile, le coppe erano foglie d'insalata.
    Rosa.
    Un bellissimo fiore rosa.
    Le sue labbra rosse cercavano di sorridere, ma non erano poi così convinte.
    Non perché fosse triste, né perché fosse concentrata.
    Stavano solo cercando di non mostrarsi troppo soddisfatte da tutti quegli occhi puntati contro.
    Gli venne da ridere, bevve un altro sorso.
    Poi il fiore iniziò a danzare.
    Una danza lenta, era ovvio, con uno strascico simile.
    Le braccia si aprivano, i polsi ruotavano, le mani forse stavano creando delle figure nell'aria.
    Poi lei conficcò un tacco nel palco. E la musica accelerò.
    Riusciva a girare su se stessa, con uno strascico simile.
    I petali si alzavano, ricadevano a terra, si alzavano di nuovo.
    Le gambe si piegavano, si distendevano in alto, tornavano giù, e lei girava di nuovo, i petali tornavano a volare.
    E volavano davvero, sopra i tavoli.
    Ne afferrò uno, arrivato proprio davanti ai suoi occhi.
    Grande come il palmo della sua mano. Stoffa non troppo pregiata.
    Chissà da dov'era caduto - da dove lei l'aveva staccato.
    Sembrava un fiore in una tempesta.
    Un fiore che continuava a mettersi in mostra senza curarsi minimamente della tempesta.
    Lui non riuscì a trattenere un sorriso.
    La musica andò abbassandosi, i suoi movimenti rallentarono.
    Lei si fermò al centro del palco, una gamba davanti all'altra.
    Tra i petali rimasti, tra le loro ombre, del color perla.
    Le braccia aperte erano ali che atterravano piano.
    Aveva le ciglia bionde.
    E gli occhi azzurri.
    Qualcosa all'altezza dello stomaco, del petto.
    Un brivido lungo la schiena.
    E quelle labbra si curvarono in un sorriso, un sorriso vero.
    Vedeva ancora l'azzurro degli occhi, il nero delle pupille.

    Non le gettò neppure una moneta.
    Quando il sipario si chiuse, lui si alzò.
     
    .
0 replies since 1/11/2019, 17:29   11 views
  Share  
.